TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima sezione penale 
 
    Il giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di B.A., nato in Kosovo il (...), arrestato in flagranza  di
reato in data 7 dicembre 2018 e oggetto del decreto di  presentazione
diretta  in  giudizio  per  il  rito  direttissimo  con  la  seguente
imputazione: 
        accusato del reato di cui all'art. 624-bis del codice penale,
perche', al fine di trarne profitto, si impossessava del portafoglio,
di due astucci e di  oggetti  personali  della  dott.ssa  A.  D.  P.,
sottraendo tali beni dal  bancone  della  sala  pazienti  del  pronto
soccorso dell'Ospedale di ..., dove erano detenuti quali unico spazio
per il personale di servizio  per  custodire  gli  effetti  personali
durante il lavoro, mediante introduzione in tale luogo  destinato  in
parte a privata dimora, avendo lo  stesso  in  sostanza  funzione  di
spogliatoio; o, alternativamente, con l'aggravante di  aver  commesso
il fatto su cosa esposta per necessita' e consuetudine alla  pubblica
fede. 
In Firenze il 7 dicembre 2018. 
          Con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. 
    Premesso che: 
        in base agli atti  d'indagine  alle  ore  6,20  circa  del  7
dicembre 2018 gli operanti della Questura di  Firenze  erano  inviati
dalla centrale operativa presso il  cittadino  Ospedale  di  ...,  in
quanto uno dei medici di turno presso  il  pronto  soccorso  (P.  A.)
aveva segnalato il furto appena avvenuto degli effetti  personali  di
altro medico (D. P. A.); il parente (M. J.) di un paziente del pronto
soccorso aveva notato un soggetto (capelli corti, corporatura  esile,
andatura barcollante, giubbotto marrone) avvicinarsi al bancone usato
dai  sanitari  in  un'area   di   degenza,   frugare   nello   stesso
approfittando dell'assenza dei sanitari e asportare  alcuni  oggetti;
la dott. D. P., allertata, tornava al bancone, constatava la mancanza
dalla propria borsa del portafogli (contenente 180 euro), di un  paio
di guanti e di due astucci; mentre il dott.  P.  allertava  le  Forze
dell'ordine, la D. P.  intuito  chi  fosse  l'autore  del  furto  (un
soggetto  precedentemente  ricoverato  in  stato  d'intossicazione  e
appena allontanatosi senza dimissione), trovava  per  terra  uno  dei
guanti,  raggiungeva  in  strada  il  detenuto  e  lo  convinceva   a
restituirle il maltolto; vedeva poi il predetto allontanarsi e salire
a bordo del tram  in  direzione  centro  citta';  una  volante  della
Polizia - in contatto radio con la centrale - raggiungeva il  veicolo
alla fermata di ..., procedeva al controllo dei viaggiatori  tra  cui
era  presente  l'attuale  prevenuto,  rispondente  alla   descrizione
fornita; in suo possesso veniva rinvenuta  un'agenda  intestata  alla
dott. D. P. la  foto  del  B.  -  inviata  tramite  cellulare  -  era
sottoposta ai due medici, che riconoscevano il citato soggetto; 
        il  prevenuto  ha  rilasciato  dichiarazioni  spontanee  poco
ordinate, riferendo in sostanza di  avere  ricevuto  gli  oggetti  in
questione da un soggetto marocchino non meglio  identificato  e  che,
appena richiestone, egli li avrebbe restituiti alla titolare; 
        alla citata udienza il Pm chiedeva la convalida  dell'arresto
e l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere; 
 
                            Rilevato che: 
 
        l'arresto va convalidato in quanto compiuto in stato di quasi
flagranza posto che il prevenuto in sede di perquisizione era trovato
in possesso dell'agenda della  persona  offesa,  circostanza  da  cui
emergeva che aveva appena compiuto il fatto (art. 382 del  codice  di
procedura penale); le condizioni soggettive del predetto (gravato  da
innumerevoli precedenti) giustificano peraltro l'arresto  in  ragione
della sua personalita'; 
quanto all'applicazione della misura cautelare richiesta o  di  altra
misura cautelare coercitiva, per poter  addivenire  ad  una  corretta
decisione   appare   necessario   il   pronunciamento   della   Corte
costituzionale in ordine alla deroga prevista dall'art. 391, comma  5
del codice di procedura penale al requisito concernente i  limiti  di
pena previsti dall'art. 280 e dall'art. 274, comma 1, lettera c)  del
codice di procedura penale; 
    Cio' premesso, 
 
                               Osserva 
 
in  base  agli  atti  d'indagine  e  alle  stesse  dichiarazioni  del
prevenuto sussistono gravi indizi di colpevolezza rispetto  al  fatto
contestato, sia pur diversamente qualificato; 
    in primo luogo il teste M. ha fornito una descrizione dell'autore
del furto perfettamente corrispondente al B.;  in  secondo  luogo  la
versione fornita dal prevenuto (ricezione degli oggetti da  parte  di
terzo soggetto) appare del tutto inverosimile; 
    il fatto non puo' tuttavia qualificarsi come furto in abitazione:
da un lato il luogo in cui  e'  stato  commesso  non  puo'  ritenersi
privata dimora, posto che trattavasi di una sala del pronto  soccorso
accessibile anche ai  pazienti  (ed  il  prevenuto  era  un  paziente
ricoverato);  dall'altro  il  prevenuto  non  ha  commesso  il  fatto
mediante introduzione nel citato luogo, ma era  gia'  presente  nello
stesso per altri motivi (il precedente ricovero) e nell'occasione  ha
posto in essere il reato (cfr.  Cassazione  sezione  5,  sentenza  n.
14868 del 15 dicembre 2009 Rv. 246886); 
    trattasi dunque di furto ex art. 624 del codice penale, aggravato
ex art. 625, n. 7 del  codice  penale  in  quanto  commesso  su  cose
esistenti  in  stabilimenti  pubblici  quale  e'  appunto  il  pronto
soccorso dell'Ospedale cittadino di (circostanza dunque contestata in
fatto); non pare viceversa ravvisabile  il  profilo  dell'esposizione
alla pubblica fede (in ogni caso trattasi di  un'unica  aggravante  a
fattispecie alternative); 
    in  ragione  delle  modalita'  della   condotta,   dei   numerosi
precedenti penali (anche specifici e recenti) del prevenuto,  che  ha
gia' subito diversi periodi di  detenzione  senza  evidentemente  che
questi abbiano sortito un sufficiente effetto deterrente,  sussistono
parimenti le esigenze cautelari indicate dal Pm di cui all'art.  274,
lettera c) del codice di procedura penale, concreto e attuale essendo
il rischio di reiterazione del reato o di commissione di reati  della
stessa specie di quello in esame; 
    in considerazione di quanto precede non e' possibile ritenere che
con la sentenza possa essere  concessa  la  sospensione  condizionale
della pena; 
    si dovrebbe dunque applicare  una  misura  cautelare  coercitiva,
anche se la misura carceraria (richiesta dal  Pm)  in  considerazione
dell'entita' del fatto appare  eccessiva  e  le  esigenze  potrebbero
essere soddisfatte con la meno grave misura degli arresti domiciliari
(non e' prevedibile del resto l'applicazione in sentenza di una  pena
superiore ai tre anni, per cui opera il limite  ex  art.  275,  comma
2-bis del codice di procedura penale); 
    rilevante ed essenziale appare quindi  la  questione  dei  limiti
edittali previsti dall'art. 280, comma  1  del  codice  di  procedura
penale per le misure cautelari personali coercitive e dall'art.  274,
comma 1, lettera c) del codice di procedura penale specificamente per
la misura degli arresti domiciliari; 
    in particolare l'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale
prevede che - salvo quanto  disposto  dall'art.  391  del  codice  di
procedura penale - le misure coercitive possono essere disposte  solo
quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena
dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni; 
    l'art. 278 del  codice  di  procedura  penale  prevede  che  agli
effetti dell'applicazione delle misure cautelari si ha riguardo  alla
pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato  o  tentato  e
non si tiene conto delle  circostanze,  fatta  eccezione  per  alcune
specifiche circostanze, tra cui quella ex art. 62, n.  4  del  codice
penale; 
    per il reato ora in esame l'art. 624 del codice penale prevede la
pena edittale della reclusione da sei mesi a tre anni; 
    in ragione del modesto valore degli oggetti  sottratti  (e  della
natura  e  professione  della  persona  offesa)  e'  ravvisabile   la
circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale, che rileva
ai fini della determinazione  della  pena  per  l'applicazione  delle
misure cautelari ai sensi  dell'art.  278  del  codice  di  procedura
penale (non rileva viceversa la recidiva, pur qualificata); 
    In assenza di indicazioni specifiche nella  disposizione  di  cui
all'art. 278 del codice di procedura penale, si deve ritenere che  in
presenza di attenuanti e aggravanti si debba operare come di consueto
il bilanciamento ex art.  69  del  codice  penale  (si  veda  la  pur
risalente Cassazione sezione 5, sentenza n. 1944 del 25  maggio  1993
Rv. 195254), che nel caso in esame - tenuto conto delle  peculiarita'
del  caso  concreto  -  va  effettuato  quanto  meno  in  termini  di
equivalenza, essendo le contrapposte circostanze di pari pregnanza; 
    ne deriva quindi  che  per  il  reato  in  questione  il  massimo
edittale e' ex art. 624  del  codice  penale  pari  ad  anni  tre  di
reclusione, laddove l'art. 280 del codice di procedura penale prevede
la possibile applicazione di misure cautelari coercitive solo  per  i
delitti per i quali sia prevista la pena della  reclusione  superiore
nel massimo a  tre  anni;  l'art.  274,  lettera  c)  del  codice  di
procedura  penale  richiede  inoltre  per  la  misura  degli  arresti
domiciliari un limite edittale di almeno quattro anni; 
    e' dunque  rilevante  nel  caso  di  specie  la  deroga  prevista
dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale, ai  sensi  del
quale «Quando  l'arresto  e'  stato  eseguito  per  uno  dei  delitti
indicati nell'articolo 381, comma 2 [...] l'applicazione della misura
e' disposta anche al di fuori  dei  limiti  di  pena  previsti  dagli
articoli 274, comma 1, lettera c), e 280»; 
    si ha motivo di dubitare  della  legittimita'  costituzionale  di
tale norma; 
    in particolare la citata deroga alla previsione generale  di  cui
all'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale  per  le  misure
cautelari personali coercitive e alla previsione di cui all'art. 274,
comma 1, lettera c) per la  misura  degli  arresti  domiciliari  pare
costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 3  e  13
della Costituzione; 
    la disciplina in questione pare infatti in primo luogo realizzare
una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a situazioni del
tutto simili: per effetto della citata deroga, uno stesso fatto  (nel
caso in esame un furto, ma il discorso  puo'  valere  anche  per  gli
altri tipi di reato previsti dall'art. 381, comma  2  del  codice  di
procedura penale) e' suscettibile di fondare o meno l'applicazione di
una misura cautelare coercitiva o addirittura  custodiate  a  seconda
che sia intervenuto o meno un arresto in  flagranza;  la  circostanza
tuttavia che vi sia  stato  o  meno  un  arresto  in  flagranza  puo'
dipendere da fattori anche casuali  (ad  es.  la  presenza  di  Forze
dell'ordine nei pressi del luogo in cui il delitto  viene  commesso),
ma in ogni caso estranei alla gravita' del  fatto  di  reato  e  alla
personalita' del suo autore; paradossalmente il compiuto arresto e la
relativa legittimita'  potrebbero  dipendere  dalla  mancata  fuga  e
quindi da un fattore indice di minore pericolosita' del  soggetto  o,
come nel caso in esame, da tracce del reato appena  compiuto  di  per
se' poco  significative  (se  il  prevenuto  avesse  restituito  alla
persona offesa l'agenda -unitamente agli altri  oggetti  -  o  se  ne
fosse disfatto, l'arresto non sarebbe stato consentito difettando  la
quasi flagranza); la differenza di trattamento tra l'ipotesi  in  cui
l'autore di un medesimo fatto sia arrestato e quella in cui viceversa
non sia arrestato (perche' magari sia  riuscito  nell'immediatezza  a
fuggire  o  a   disfarsi   della   merce   sottratta)   pare   dunque
ingiustificata; 
    in proposito occorre avere riguardo ai principi  affermati  dalla
giurisprudenza ormai consolidata della  Corte  di  cassazione  ed  in
particolare dalla sentenza  delle  sezioni  unite  n.  39131  del  24
novembre 2015 Rv. 267591, che  ha  chiarito  l'essenza  dell'istituto
dell'arresto in flagranza  e  quindi  definito  i  suoi  confini:  la
privazione  della  liberta'  personale   da   parte   della   polizia
giudiziaria - in assenza di un provvedimento motivato  dell'autorita'
giudiziaria - trova il proprio fondamento  nella  percezione  diretta
dei fatti delittuosi da parte  della  stessa  P.G.,  con  conseguente
elevata probabilita' della colpevolezza dell'arrestato. Tali  essendo
l'essenza e la ratio dell'arresto in flagranza, ne deriva che ai fini
dell'adozione della misura cautelare  la  rilevanza  dell'intervenuto
arresto si dispiega unicamente sotto il profilo dei gravi  indizi  di
colpevolezza (in ragione della diretta  constatazione  del  reato  da
parte degli operanti); il dato dell'arresto non attiene viceversa  al
profilo della gravita' del fatto di reato, sicche' non  pare  potersi
giustificare un diverso trattamento - a parita' di fatto delittuoso -
tra l'ipotesi in cui il soggetto sia stato arrestato e quella in  cui
- pur a fronte di gravissimi indizi di colpevolezza (ad  es.  per  la
confessione  del  reo  o  per  la  presenza  di   una   registrazione
audiovisiva dei fatti) -  tale  misura  precautelare  non  sia  stata
viceversa, per le piu' svariate ragioni, eseguita; del pari  il  dato
dell'arresto non attiene di per se' al  profilo  della  pericolosita'
del soggetto; 
    tale differenza di trattamento pare violare anche il principio di
proporzionalita' della misura cautelare all'entita' del fatto e  alla
sanzione irrogabile, sancito espressamente dall'art. 275, comma 2 del
codice  di  procedura  penale  ma  -  si  deve  ritenere  -  comunque
riconducibile  all'art.   13   della   Costituzione,   che   sancisce
l'inviolabilita' della liberta' personale: in questo caso infatti  ad
incidere sull'applicabilita' della  misura  e'  un  dato  (l'arresto)
estraneo all'entita' del fatto (e alla sanzione  irrogabile)  e  alle
esigenze cautelari; 
    si deve poi escludere che la deroga di cui all'art. 391, comma  5
del  codice  di  procedura  penale   possa   trovare   fondamento   e
giustificazione nell'esigenza, avvertita dall'opinione  pubblica,  di
assicurare la pronta reazione  istituzionale  nella  repressione  dei
reati di  cui  la  polizia  giudiziaria  abbia  avuto  immediatamente
contezza, mediante la possibilita'  che  le  misure  cautelari  siano
applicate anche in assenza del requisito relativo alla pena  edittale
prevista; 
    innanzi tutto, come chiaramente affermato dalla  citata  sentenza
delle Sezioni unite n. 39131 del 24 novembre 2015 Rv. 267591, il mero
dato cronologico (brevita'  del  lasso  di  tempo  trascorso  tra  la
commissione  del  reato  e  l'intervento  della  P.G.)   non   assume
giuridicamente rilevanza sulla base del diritto positivo al  fine  di
offrire fondamento di legittimita'  all'arresto  del  reo,  dirimente
essendo - come si e' detto - la percezione diretta dei fatti da parte
della P.G. (o viceversa il rinvenimento di cose o tracce del  reato).
Quindi  -  se  l'esigenza  di  una  pronta   reazione   istituzionale
all'attivita' criminale puo' ravvisarsi in modo identico in  tutti  i
casi in cui  il  reato  si  sia  da  poco  consumato  -  nell'ipotesi
dell'intervenuto arresto (in cui la P.G. ha percepito direttamente  i
fatti ed e' riuscita ad eseguire l'arresto oppure ha rinvenuto tracce
del reato in capo all'arrestato) non  pare  potersi  ravvisare  alcun
elemento  ulteriore  che  giustifichi  l'applicazione  della   misura
cautelare rispetto alla diversa ipotesi in cui il delitto  sia  stato
parimenti  appena  realizzato,  ma  la  P.G.  non   abbia   percepito
direttamente i fatti ne' abbia rinvenuto tracce del reato addosso  al
sospettato oppure non sia riuscita ad arrestare il relativo autore; 
    in  secondo  luogo,  la  citata  esigenza  di   pronta   reazione
istituzionale all'attivita'  criminale  pare  potersi  legittimamente
esplicare in sede di repressione punitiva, con un celere  svolgimento
del procedimento di merito, ma non  in  sede  cautelare.  essendo  le
misure cautelari volte unicamente a presidiare i pericula libertatis; 
    non si puo' poi  non  notare  che  la  deroga  qui  censurata  e'
prevista dall'art. 391,  comma  5  del  codice  di  procedura  penale
unicamente per i delitti indicati nell'art. 381, comma 2  del  codice
di procedura penale e dunque per alcune specifiche ipotesi di arresto
facoltativo, non operando viceversa per le ipotesi  di  cui  all'art.
381, comma 1 del codice di procedura penale. 
    Conseguentemente - ove venga in rilievo un delitto consumato  per
il quale sia previsto un massimo edittale superiore  a  tre  anni  ma
inferiore a cinque anni (ad es. violenza  privata  ex  art.  610  del
codice penale o cessione di stupefacenti ex  art.  73,  comma  5  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990)  -   sara'
possibile l'arresto, ma non l'applicazione della custodia in carcere.
Analogamente, nel caso di delitto consumato per il quale sia previsto
un massimo edittale superiore a tre anni ma inferiore a quattro  anni
(ad es. cessione di stupefacenti ex art. 73, comma 5 del decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.   309/1990   qualora   ricorra   la
circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale,  che  come
si e' detto rileva ai fini  cautelari  ex  art.  278  del  codice  di
procedura  penale  e  che  secondo  le  piu'  recenti   pronunce   di
legittimita' e' configurabile  anche  in  materia  di  stupefacenti),
sara' possibile l'arresto, ma non l'applicazione di misure custodiali
neppure domiciliari; 
    va poi notato che per  pacifica  giurisprudenza  di  legittimita'
(cfr. tra le altre Cass. n. 45511 del 5 ottobre 2005  rv  232933)  la
norma di cui all'art. 381, comma 2 del codice  di  procedura  penale,
concerne i soli delitti consumati; nell'ipotesi di  titoli  di  reato
previsti dall'art. 381, comma 2 del codice  di  procedura  penale  ma
integrati nella sola forma tentata (ad es. tentato furto aggravato ex
art. 625  del  codice  penale)  l'arresto  potrebbe  essere  comunque
possibile ai sensi dell'art. 381, comma 1  del  codice  di  procedura
penale, ma non opererebbe la deroga di cui all'art. 391, comma 5  del
codice di procedura penale; 
    paradossalmente vi possono anche essere dei casi - ad  es.  nelle
ipotesi di tentati furti aggravati ex art. 625, n.  2  prima  ipotesi
del codice penale o 625, n. 5 del codice penale,  senza  che  ricorra
l'attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale -  in  cui  l'arresto
sia obbligatorio ex art. 380 del codice procedura penale,  ma  poi  -
non operando la deroga di cui all'art. 391, comma  5  del  codice  di
procedura penale (prevista per  i  soli  delitti  consumati  indicati
nell'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale)  -  la  misura
della  custodia  in  carcere  non  e'  applicabile;  tale  misura  e'
viceversa applicabile nei casi di arresto facoltativo di cui all'art.
381, comma 2 del codice di procedura penale in forza della deroga qui
censurata; 
    quelle sopra elencate sono, a parere di questo giudice,  evidenti
disparita' di trattamento, ancor piu' gravi rispetto  all'ipotesi  da
ultimo prospettata dell'arresto obbligatorio, che in  quanto  tale  -
per  volonta'  dello  stesso  legislatore  -  dovrebbe   attenere   a
fattispecie in cui il fatto  e'  piu'  grave  o  comunque  impone  un
intervento immediato delle autorita'; 
    pare poi sussistere un ulteriore profilo  di  illegittimita'.  La
deroga prevista dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale
opera nei soli  casi  di  intervenuta  convalida  dell'arresto  (cfr.
sezione  5,  sentenza  n.  22354  dell'8  giugno  2006  Rv.  234557),
conformemente peraltro al principio  secondo  cui  -  in  assenza  di
convalida - l'arresto non puo' esplicare alcun effetto. In base  alla
consolidata  giurisprudenza  della  Suprema  Corte,  ai  fini   della
convalida o meno dell'arresto il giudice deve  operare  con  giudizio
«ex  ante»,  avendo  riguardo  alla  situazione  in  cui  la  polizia
giudiziaria ha provveduto,  senza  tener  conto  degli  elementi  non
conosciuti o non conoscibili della stessa, che siano  successivamente
emersi (Cassazione sezione 3 sentenza n. 35962 del 7 luglio 2010  Rv.
248479), per cui «il vaglio cui e' chiamato il giudice in questa fase
attiene  soltanto  alla  verifica  del  ragionevole  uso  dei  poteri
discrezionali della polizia giudiziaria e quando ravvisi la  mancanza
di ragionevolezza nell'uso  degli  stessi,  deve  fornire  sul  punto
adeguata  argomentazione  giustificativa»  (Cassazione   sezione   5,
sentenza n. 21577 del 27 marzo  2009  Rv.  243885);  cio'  in  quanto
l'arresto e' un'iniziativa che avviene nell'immediatezza  del  fatto,
normalmente  all'esordio  dell'indagine,  e  il  giudizio  circa   la
convalida ha ad oggetto l'atto della P.G. e  non  la  responsabilita'
dell'arrestato o il piano cautelare (cfr. Cassazione  sezione  6,  n.
700/2014  del  3  dicembre  2013).  Alla  luce  di  queste  premesse,
condivisibili  e  comunque  costituenti  «diritto  vivente»,   appare
legittimo dubitare della deroga prevista dall'art. 391, comma  5  del
codice di procedura penale: ai fini della convalida il  giudice  deve
porsi nell'ottica della P.G., che opera in flagranza di reato,  sulla
base dei soli elementi disponibili  nell'immediatezza  del  fatto,  e
dunque in una prospettiva solo parziale; un arresto  convalidato  (in
tale prospettiva necessariamente solo parziale) rileva pero' ai  fini
dell'operativita'   della   citata   deroga   e   dunque   ai    fini
dell'applicabilita' delle misure cautelari; tale  rilevanza  ai  fini
cautelari di un dato -  vagliato  unicamente  sulla  base  di  alcuni
elementi, quelli disponibili in capo alla P.G. - pare contrastare con
l'art. 13 della Costituzione, sia sotto il profilo della tutela della
liberta' personale sia sotto il profilo del presidio costituito dalla
valutazione dell'autorita' giudiziaria (la limitazione della liberta'
personale per effetto della  misura  cautelare  consegue  si'  ad  un
provvedimento   dell'autorita'   giudiziaria,   ma   il   vaglio   di
quest'ultima e' per alcuni profili limitato solo ad alcuni elementi); 
    ulteriore profilo di violazione dell'art. 13 della  Costictuzione
attiene al fatto che un atto della polizia  giudiziaria,  soggetto  a
verifica di  legittimita'  ma  comunque  discrezionale,  finisce  per
effetto della citata deroga ex  art.  391,  comma  5  del  codice  di
procedura penale  per  incidere  non  solo  sulla  limitazione  della
liberta'  personale  connessa  alla  misura  precautelare,  ma  sulla
concreta applicabilita' successiva di una misura cautelare coercitiva
e dunque limitativa della liberta' personale: 
    l'art. 13 della Costituzione pone al secondo comma una riserva di
legge in ordine ai casi e ai modi in cui e' ammessa la  detenzione  o
altra restrizione della liberta' personale; 
    e' si' vero che lo stesso art. 13  della  Costituzione  al  terzo
comma prevede  in  casi  eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza  la
possibilita'   che   l'autorita'   di   pubblica   sicurezza   adotti
provvedimenti  provvisori  al  riguardo;  tale  previsione  pero'  e'
limitata per l'appunto ai casi eccezionali di necessita' ed urgenza e
alla situazione provvisoria precautelare; 
    per effetto della previsione di cui all'art.  391,  comma  5  del
codice di procedura penale, viceversa, la  valutazione  discrezionale
dell'autorita' inquirente finisce con l'incidere sull'intera  vicenda
cautelare elidendo l'ordinario  limite  del  massimo  edittale  posto
dalla legge (art. 274  e  280  del  codice  di  procedura  penale)  a
presidio della liberta' personale dell'individuo; 
    nella recente sentenza n. 180/2018, la Corte costituzionale  -  a
proposito  della  riserva  di  cui  all'art.  13,   comma   5   della
Costituzione  e  dell'incidenza  sulla   liberta'   personale   della
disciplina di cui al codice di autoregolamentazione delle  astensioni
dalle udienze degli avvocati - ha ritenuto  la  disciplina  di  legge
incostituzionale  nella  misura  in  cui  consentiva  ad  una   fonte
secondaria di interferire con la disciplina della liberta'  personale
dell'imputato; 
    la  norma  ora  censurata  pare  consentire  una  non   dissimile
interferenza   delle   valutazioni   discrezionali   della    polizia
giudiziaria con la disciplina delle misure cautelari e  dunque  della
liberta' personale del soggetto; 
    il dubbio di  legittimita'  costituzionale  investe  di  riflesso
anche l'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale nella  parte
in cui  nel  prevedere  i  requisiti  di  applicazione  delle  misure
coercitive fa salvo il disposto dell'art. 391 del codice di procedura
penale. 
    Non risultano percorribili interpretazioni conformi  della  norma
ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione,  chiaro  e
univoco essendo  il  dato  letterale  (la  disposizione  e'  peraltro
interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita'  al
citato dato letterale); 
    dubitando  della  legittimita'  costituzionale  delle  norme  che
consentono l'applicazione della misura in deroga ai  normali  limiti,
si deve sospendere l'applicazione della citata norma in attesa  della
decisione della Corte costituzionale;